Raffaella Manieri, il pilastro difensivo per giovani calciatrici e calciatori

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“In tre anni di Bundesliga, ogni volta che rientravo in Italia mi sembrava di tornare indietro di dieci anni”. La storia passa, portando i suoi venti di cambiamento. Succede a qualsiasi livello e in tutti i contesti, compreso quello sportivo. Quando avvengono passaggi storici, come quello che stiamo vivendo legato al calcio femminile, ci sono sempre donne e uomini che, agendo nel loro quotidiano con azioni grandi o piccole, agevolano la storia. Raffaella Manieri è sicuramente da annoverare tra chi sta rivoluzionando per sempre il modo di vivere il calcio.

Raffamanieri
Raffaella Manieri durante la sua esperienza al Bayern Monaco

Chi è Raffaella Manieri

Prima qualche cenno biografico che si rende necessario visto che Raffaella Manieri è un’atleta di altissimo livello ma pur sempre una calciatrice italiana. Classe 1986, cresciuta tra Pesaro e Senigallia dove fa le prime esperienze in squadre di calcio femminile. Poi passa al Torino, prima della consacrazione a Verona, dove vince il suo primo scudetto. È a Sassari che Raffaella ha la sua consacrazione, partecipando alla vittoria dei 5 scudetti consecutivi della Torres, prima di atterrare al Bayern Monaco nel 2013. Qui conquista due scudetti nella Frauen-Bundesliga nel 2015 e 2016, prima di tornare in Italia per indossare la maglia del Milan. Nel frattempo Raffaella conquista anche la maglia azzurra, con cui colleziona 65 presenze e 10 reti.

Non vi ricorda la storia di un certo Luca Toni? Eppure, nonostante la carriera e i risultati ottenuti, Raffaella Manieri non è conosciuta al grande pubblico che ancora non percepisce le calciatrici allo stesso livello dei colleghi maschi. Per questo, il riconoscimento del professionismo è fondamentale. “È un obiettivo che stiamo raggiungendo e che è iniziato anni fa – ci dice Raffaella, parlando della riforma dello sport che riconosce e regola il professionismo femminile. “Essere professioniste vuol dire rientrare nella legge 91/81 e quindi poter avere un contratto di lavoro subordinato. Per noi vuol dire avere riconosciuti dei diritti, come la maternità o la pensione, e tutele“. Ovviamente la riforma non si limita alle calciatrici ma il calcio può essere il traino per tutti gli altri movimenti sportivi. In questo Raffaella Manieri è sicuramente tra le avanguardie che hanno dato origine a questa rivoluzione.

Raffaella Manieri Nazionale
Raffaella Manieri in Nazionale

L’esperienza da professionista lontana da casa

Una condizione, quella del professionismo femminile, che all’estero ha strutture ben consolidate nel tempo. A differenza dell’Italia, dove solo ora le sportive iniziano ad avere coscienza di cosa sia il professionismo. “Io l’ho imparato in Germania – prosegue Raffaella. Chiamavo io le altre calciatrici per sapere del mio contratto, non avevo procuratori e non conoscevo le garanzie del professionismo, né i suoi obblighi”. Non è solo una questione di diritti, ferie, stipendi o indennità di infortunio. Non essere riconosciute come professioniste, vuol dire anche non essere valutate correttamente. “Con un campionato italiano zoppicante e la nostra condizione contrattuale che finora era così nebulosa, noi italiane all’estero eravamo poco conosciute e quindi svalutate. La percezione comune però è cambiata radicalmente da dopo il Mondiale del 2019″. 

Per esempio, per una squadra interessata ad una calciatrice italiana, non è facile valutare un possibile acquisto. “Grazie alle dirette di Sky e Timvision, le ragazze ora hanno una visibilità e copertura mediatica che prima non c’era. Le società possono vederle giocare e selezionarle. Io sono stata osservata solo grazie alla Nazionale: è stato in un Italia-Germania che il Bayern Monaco mi ha notata“. Per chiarire questo, è forse utile fare un paragone terra terra. Una top player che milita nel campionato italiano guadagna fino a 30mila Euro l’anno più bonus. “A paragone, una collega di un top club di un campionato estero può guadagnare 450mila Euro ma sono campionati partiti venti anni fa. Questo è l’obiettivo che dobbiamo raggiungere”.

Raffaella Manieri Milan
Raffaella Manieri e Alessio Romagnoli, capitani del Milan Femminile e Maschile

10 anni di gap tra Germania e Italia

Dall’altra parte del telefono, mentre parlo con Raffaella, non ho l’impressione di parlare con una calciatrice e basta. C’è una persona con le idee molto chiare e che ha maturato delle esperienze che la fanno parlare con cognizione di causa e non per il semplice dovere professionale di rispondere a un giornalista. “I tre anni di Bayern Monaco mi hanno aperto gli occhi. Quando tornavo in Italia, vedevo con chiarezza il gap che c’era con la Germania, soprattutto nella percezione del calcio femminile. Ogni volta che superavo il confine mi sembrava di tornare indietro di dieci anni“. Non si parla solo di contratti e stipendi: “è il modo stesso di intendere il professionismo femminile che lì era già radicalmente diverso. In Germania ero un’atleta professionista e una calciatrice della nazionale italiana che firmava autografi e festeggiava le vittorie in piazza. Qui ero niente”. 

L’ultima esperienza da calciatrice è infatti quella al Milan, conclusasi a luglio del 2020. “Il primo anno a Milano è stato più che altro di studio: ho giocato poco e ho iniziato a visionare il settore giovanile“. I rossoneri, in effetti, sono una delle poche società della Serie A Femminile ad aver aperto un settore giovanile dedicato alle giovani calciatrici. Oltre il Milan, solo Sassuolo, Juventus e Inter hanno fatto altrettanto. O almeno sono le uniche che ne parlano sui propri siti ufficiali. Solo quattro squadre su dodici. Fiorentina e Roma, puntano invece sulle squadre primavera. Segno che c’è ancora molto da fare, soprattutto riguardo le giovanili: maschili o femminili. “Anche da questo nasce il progetto Raffamanieri Academy, un modo nuovo di intendere la scuola calcio, soprattutto per i più piccoli. Che poi nasce principalmente dalla mia esperienza“.

Il progetto Raffamanieri Academy

L’accademia di Raffaella Manieri

Ho sempre giocato a calcio da bambina, l’ho sempre fatto con i maschi ed ero comunque più forte di tutti. Sono partita 20 anni fa da un paese di 600 abitanti, sono cresciuta conrontandomi con chi era più avanti di me e sono arrivata ad essere un’atleta di una grande società“. Così è come Raffaella Manieri sintetizza la base del metodo Pink Arzilla, quello che muove la sua Academy. Sa di essere stata un’eccezione in una presunta normalità in cui le bambine vengono scoraggiate, magari anche inconsapevolmente, a iscriversi in una scuola calcio. “Anche dove esistono le poche scuole calcio con settori femminili, le ragazze arrivano in accademia a 12-13 anni. Mentre i bambini giocano già da anni, loro hanno dovuto vincere e convincere le resistenze proprie, dei genitori, degli amici e dei parenti. A livello agonistico è una disparità che si può colmare con il nostro metodo“.

Sulla base di questo, Raffaella ha sviluppato infatti il metodo dell’Academy, insieme al responsabile allenatori Francesco Marcucci e allo psicologo e psicoterapeuta Sammy Marcantonini dottore, tra le altre, in scienze motorie e filosofia. “Ci basiamo su due linee guida principali: squadre miste fino almeno all’attività agonistica e un codice etico che applichiamo con rigore“. Le squadre miste, abituano le bambine ad avere un contesto competitivo e acquisire consapevolezza; i bambini imparano a riconoscerne le capacità tecniche e spesso sono loro a imparare dalle compagne. “Il lavoro più importante e duro, però, è fuori dal campo. Andiamo nelle scuole, parliamo con i genitori e con le realtà istituzionali del nostro territorio, per sensibilizzare: scardinare una concezione fin troppo radicata”.

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