Daniele Sandri: dall’infortunio è nato un professionista

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Conosco sportivi, amatori e professionisti, che solo a sentire la parola menisco, stringono i denti in una smorfia di paura. Non è un caso che sia uno degli infortuni più frequenti tra gli atleti. Daniele Sandri, milanese e giocatore di Pallacanestro, è uno di questi. Ci ha raccontato la sua esperienza, dal primo infortunio al totale recupero. Dopo tre operazioni e un trapianto di menisco, è tornato a giocare ad alti livelli e ha cambiato il modo di vedere la sua professione. Un cambiamento di mentalità; una volontà e una passione incrollabili e tutta una storia da raccontare.

Dall’infortunio al recupero

La storia dell’infortunio di Daniele Sandri inizia nel 2009, a Treviso. Giocava nella Benetton e durante una partita di Euro-cup atterra male da un salto, e menisco lesionato. Inizia un calvario che lo porta attraverso tre operazioni, “l’ultima delle quali – ci racconta – è stata quella risolutiva. Mi sono sottoposto al trapianto del menisco, dopo essere stato lontano dal campo per troppo tempo.” All’operazione, è seguita una fase successiva che per Daniele è stata ancor più importante dell’operazione stessa.

Oltre a recuperare il tono muscolare, dovevo anche sviluppare un modo per allenarmi senza rischiare di farmi male.” La paura che l’infortunio si ripeta, è un blocco che sorge in molti atleti e che spesso ne può pregiudicare il totale recupero. Un altro grande ostacolo, per lo più psicologico, che può incorrere, è quello di voler tornare alla condizione fisica pre-infortunio. “Dopo l’infortunio, mentre attendevo le varie operazioni, ho potuto studiare e approfondire. Ho imparato ad ascoltare meglio il mio corpo e mi si è aperto un mondo.”

Com’è cambiato Daniele Sandri dopo l’infortunio

Prima dell’infortunio prendevo la mia vita come un gioco. Lo stesso era per il mio lavoro di atleta. Giocavo, mi allenavo, uscivo la sera, mangiavo e bevevo quello che volevo. Tanto recupero: mi dicevo.” Un atteggiamento comune a molti atleti professionisti, soprattutto i più giovani e che si affacciano su scenari importanti. “Costretto a casa dal ginocchio infortunato, ho avuto modo di studiare, approfondire e conoscere meglio il mio ruolo d’atleta. Ho capito che non potevo fare le cose a metà: se volevo giocare da professionista, dovevo essere un professionista.”

Se per voi, l’atleta professionista è quello che viene pagato per farlo, avete ragione solo in minima parte. “Bisogna essere consapevoli di essere un professionista – ci dice ancora Daniele Sandri – e non è scontato. L’essere un’atleta fa parte della quotidianità: se sei un atleta lo sei sempre perché è uno stile di vita.” E non è detto che la vita dell’atleta ponga meno difficoltà della vita di un qualsiasi lavoratore. “Ci sono tante difficoltà, invece. Molte delle quali, noi atleti tendiamo a nascondere. L’atleta professionista è quello che accetta queste difficoltà come sfide da superare.”

Daniele Sandri: professione atleta

Compromessi e sacrifici. È questo quello che c’è dietro i riflettori, i record, dietro alle carriere e ai risultati degli atleti. “Se si è disposti a intraprendere la via dell’atleta, bisogna accettare queste condizioni. La nutrizione, la tenuta fisica, il riposo, la concentrazione, lo studio, la consapevolezza: sono tutte conoscenze che servono a un atleta.” Un professionista, quindi, è anche quello che riesce a seguire la strada dell’atleta, senza farsi distrarre: “questa è la cosa più difficile.”

Un altro elemento spesso trascurato quando si parla della carriera atletica, è che questa dura poco. “Non si può essere un atleta all’infinito, Daniele Sandri, classe 1990, è consapevole che prima o poi dovrà arrendersi al proprio corpo. “Le sfide che la vita d’atleta ti pone davanti, sono le stesse che si trovano nella vita quotidiana. Affrontare la carriera sportiva da professionista, ti aiuta ad affrontare anche la vita più seriamente.” La guardia del Napoli Basket, però, sa che per ottenere questi risultati ci vuole tempo. “Gli atleti, soprattutto i più giovani, hanno bisogno di tempo per crescere. Professionisti non si nasce e diventarlo è un percorso che richiede tempo. Oggi, forse, manca un po’ di continuità nelle società di basket.”

Il basket 3×3: l’evoluzione del campetto

Sandri, come molti suoi colleghi, è cresciuto nei campetti di strada. “Moltissimi giocatori di pallacanestro hanno coltivato la propria passione nel campetto. Non servono iscrizioni, non devi chiedere permesso a nessuno: ti devi mettere a lato del campo e aspettare il tuo turno.” Da questa esperienza è nato il basket 3×3, la versione urban della pallacanestro. Una disciplina molto più dinamica del suo omologo a cinque giocatori, che a Tokyo 2020 vedrà il proprio esordio olimpico. Daniele Sandri è stato uno degli italiani chiamati al percorso di qualifica mondiale, purtroppo senza qualificarsi.

È stata un’esperienza bellissima e in quel contesto mi sono accorto di quanto questo sport meriti tutta l’attenzione che avrà a Tokyo. Mi sono ritrovato in mezzo a un sogno di bambino, quando sfidavo i bambini dei campi di Sant Martin, dove vive mia madre.” Quelle erano sfide tra ragazzi ma tanti hanno imparato lì a conoscere il proprio gioco e saper contrastare quello degli altri. “Il basket 3×3, così come è strutturato ora, è uno sport dinamico, veloce e divertente. Molto fisico e meno tecnico della pallacanestro a 5: con il tempo e la competizione, gli atleti miglioreranno e con loro tutto lo sport.” 

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